Il regno dei sogni e della follia
Mami Sunada riesce a muoversi in punta di piedi, a pedinare garbatamente Miyazaki, a fondersi con lo Studio Ghibli. Il regno dei sogni e della follia anticipa la fine e la racconta, e riesce a essere una testimonianza importante per sondare e studiare il microcosmo ghibliano. Lo spirito, l’approccio all’animazione e alla narrazione, le posizioni politiche, i ritmi di lavoro, lo stratificato rapporto tra Miyazaki e Takahata, il ruolo fondamentale del produttore Toshio Suzuki: Il regno dei sogni e della follia racconta tutto questo, anche la placida quotidianità di uno splendido micione, ma sono soprattutto una serie di vuoti, di assenze, a emergere con forza. L’assenza di Takahata, l’altra metà del cielo ghibliano, è la più evidente. Ancora una volta, l’immagine di Takahata è filtrata attraverso la luce accecante del “dio degli anime”. Accade da trent’anni, dalla pellicola seminale dello Studio, Nausicaä della Valle del vento, fino a La storia della principessa splendente, relegato alla Quinzaine di Cannes, snobbato dal pubblico, destinato a essere l’ennesima meraviglia per un pubblico e una critica di nicchia. Ci sono i ritardi e l’imprevedibilità di Takahata, icona quasi fantasmatica; manca il Miyazaki di Ponyo, di Totoro, di Kiki; osserviamo e ascoltiamo un Miyazaki amaro, forse stanco. Un uomo del XX secolo che non vuole e forse non può adattarsi al XXI, ai troppi cambiamenti, allo scorrere del tempo. È il Miyazaki di Si alza il vento: lo riconosciamo e ne soffriamo. Sunada offre allo spettatore qualche appiglio storico, giusto qualche accenno per contestualizzare, ma soprattutto cattura momenti importanti: il volto di Suzuki prima dell’annuncio del ritiro, la lettera inviata a Miyazaki e la sua risposta, le riflessioni sulla figura del padre, sulla guerra e sulla deriva destrorsa del Giappone, sui bambini, sul futuro.
Martedì 24 Ottobre, ore 21.30
ingresso 3 euro