Quel pane da spartire

Redistribuzionee riduzione dell’orario di lavoro

locandina iniziativa riduzione orario di lavoroLa grande industria ha da lungo tempo raggiunto e superato il culmine della sua fioritura, e viene sempre più sostituita dai servizi come pilastro dello sviluppo. Dunque un fenomeno preconizzato da Marx agli albori dell’industrializzazione – quando aveva sostenuto che l’espansione dell’industria sarebbe inevitabilmente sfociata in una situazione nella quale “la creazione della ricchezza reale sarebbe venuta a dipendere sempre meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato e sempre di più dalla potenza degli agenti messi in moto nel lavoro”, e cioè dalla qualità di quest’ultimo – si è concretamente avverato.

Il fattore determinante della produzione, come tutti ormai riconoscono, è infatti diventato “lo sviluppo della scienza ed il progresso della tecnica”. Ma tutto ciò non si è accompagnato ad un mutamento sociale che, sempre ad avviso di Marx, avrebbe dovuto intrecciarsi con quello tecnico, e avrebbe dovuto riguardare il modo in cui viene sperimentato l’arricchimento e viene reso possibile l’ulteriore sviluppo.

Se la ricchezza aggiuntiva viene a dipendere sempre meno dalla quantità di lavoro, è infatti evidente che “il tempo di lavoro erogato non può più essere ciò che la misura”. Questa misura andrebbe piuttosto ricercata nel tempo che viene reso “disponibile” per ognuno grazie allo sviluppo della “produttività”; uno sviluppo che può essere ulteriormente favorito proprio dalla maggiore libertà economica acquisita.

Ma ai nostri giorni l’orientamento prevalente muove in direzione decisamente opposta. Coloro i quali lavorano si vedono imporre prolungamenti della giornata lavorativa e intensificazione dei ritmi; chi sta per andare in pensione viene ricacciato indietro e costretto a lavorare ancora per anni, anche se il mondo della produzione dichiara di non avere più bisogno di lui; chi trova un lavoro precario e malpagato è spesso costretto ad accollarsene un altro per la miserabile retribuzione che riceve. Insomma, con l’appello ai sacrifici per la crescita, si continua ad agire come se la produzione della ricchezza continuasse a dipendere quasi esclusivamente dalla quantità di lavoro erogato.

D’altra parte, la possibilità dello sviluppo viene evocata attraverso il ricorso a fantomatiche politiche di “liberalizzazione” che, poggiando sull’inevitabile reintroduzione di una radicale concorrenza tra lavoratori, avrebbero come unico risultato di far leva su un tentativo di accrescere ulteriormente la massa del lavoro erogato, senza che a ciò corrisponda necessariamente un’espansione dei bisogni soddisfatti.

Nessuno discute se e come trovare un impiego produttivo per il tempo che non si riesce a trasformare nuovamente in lavoro, appunto perché quest’uso del tempo appare privo di valore e necessariamente improduttivo; una convinzione che spinge a credere che una sua espansione finirebbe con l’impoverire la società.

Se a questa situazione si accompagnasse un senso di appagamento, o anche solo di accettazione, non ci sarebbe ovviamente alcuna recriminazione da fare. Ma, nonostante lo sviluppo reso possibile dall’espansione della grande industria abbia permesso, da un lato, enormi conquiste materiali, la società è precipitata, dall’altro lato, in un grave stato d’insoddisfazione, di disorientamento e d’impotenza. C’è dunque da interrogarsi, senza aspettare che qualcuno dei posteri lo faccia quando ormai saremo polvere.

 

Incontro e discussione insieme a Giovanni Mazzetti

Venerdì 23 Marzo, ore 18.30