Essi bruciano ancora
Il tema attorno al quale ruota l’intero film può apparire senza troppe forzature come un grido di battaglia lanciato contro quello che fu il regno Sabaudo. I morti ammazzati, i morti per fame, i morti per stenti che lasciò dietro di sé l’Unità d’Italia, con quella spinta solo apparente verso un progresso in realtà irrealizzabile in quei modi e con quelle forme, tornano in vita per reclamare il loro diritto all’odio, alla contrapposizione, alla lotta contro un potere egemonico che negli ultimi centocinquanta anni e passa ha visto il sud dell’Italia come un territorio occupato, annesso a un regno del nord con cui aveva ben poco a cui spartire, perfino una lingua dissimile nonostante la matrice comune.
In quest’ottica anche Giuseppe Garibaldi, sulla cui schiena di pietra si apre Essi bruciano ancora, non può che essere un connivente o, nella migliore delle ipotesi, un romantico combattente che non capì di essere stato usato a uso e consumo di una forza crudele e superiore a lui e ai suoi fedeli sodali. A Garibaldi D’Agostino e Lavorato preferiscono il piglio battagliero e mai compromissorio di Carlo Pisacane, che morì lottanto e firmando con gli altri ventiquattro cospiratori questo celebre inno alla lotta: «Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che, avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiaramo gli iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de’ martiri italiani. Trovi altra nazione al mondo uomini, che, come noi, s’immolano alla sua libertà, e allora solo potrà paragonarsi all’Italia, benché sino a oggi ancora schiava».
Essi bruciano ancora, pur con le sue ingenuità, i suoi buchi, la sua posizione preconcetta, acquista un valore di primaria importanza, e può perfino dimostrarsi una delle opere più interessanti venute alla luce nel cinema italiano dell’ultimo anno. Un’opera in cui è necessario credere, ma può essere altrettanto fondamentale creare una dialettica, per edificare, di sovrastruttura in sovrastruttura, il primo passo verso una rivoluzione che non liberi solo il sud d’Italia e del mondo. Ma che liberi tutti.
interverrà Arturo Lavorato
Venerdì 7 dicembre, ore 21.00