La tartaruga rossa
Insieme alla rara esperienza di quella purezza del cinema che non ha bisogno nemmeno della parola per arrivare al cuore di chi guarda, La tartaruga rossa regala allo spettatore (adulto, nonostante la realizzazione a cartoni animati) la bellezza magica e commovente della poesia.
Nella prima parte, più realistica, il film racconta di un uomo in mezzo al mare che cerca di sopravvivere contro i flutti in tempesta. Non sappiamo da dove viene né come è capitato in quella situazione: lui resiste a fatica alle onde che lo sommergono, si aggrappa stremato al relitto di una barca e alla fine si ritrova senza forse sulla spiaggia di un’isoletta deserta. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: l’uomo visto come naufrago, solo in un mondo abbandonato da tutti. A fargli «compagnia» solo alcuni simpatici granchietti. L’isola però è coperta da un folto bosco di bambù che offre la possibilità di costruire una zattera con cui mettersi in mare. Cosa che fa con ingegno e fatica, ma ogni volta che sembra aver iniziato la sua navigazione qualcosa da sotto le acque arriva a distruggere con forza la sua improvvisata barca. Al terzo attacco, e al terzo naufragio, scopre che si tratta di una gigantesca testuggine rossa che evidentemente non vuole che lasci quell’isola, animale su cui sfogherà la sua rabbia quando lo troverà impacciato che si trascina sulla spiaggia, rovesciandola sul dorso e lasciandola indifesa alla mercé del sole.
È adesso, dopo l’esplosione della violenza dell’uomo, che il film cambia sostanzialmente registro, per diventare qualcosa che è insieme realistico e fantastico, vero e immaginifico. Senza voler anticipare le tante sorprese che cambieranno la vita del naufrago sull’isola — e che chiedono allo spettatore almeno un po’ di fiducia nella forza delle fiabe — il film sembra perdere la sua bussola realistica per diventare qualcosa che oscilla tra la vita quotidiana e il sogno, tra la concretezza e i desideri. Naturalmente, però, a Dudok De Wit non interessa solo raccontare l’avventura pur straordinaria di un sopravvissuto, ma guidare lo spettatore dentro un’esperienza più profonda e intensa, che è quella dell’Uomo e della Natura, del loro legame e rapporto. È il mistero della vita che domina i comportamenti di entrambi, lungo un percorso dove ogni cosa può ribaltarsi nel suo opposto, come l’improvvisa onda del mare che arriverà a spazzare l’isola e a lasciarla quasi senza forme e colori, come dovevano essere Hiroshima e Nagasaki dopo l’esplosione atomica. Qui non c’è stata l’opera dell’uomo ma della Natura eppure l’effetto sembra identico, a ricordare la finitudine di ogni cosa. Per poi, nell’eterno ciclo delle cose, mostrarci come quella stessa «forza» sia capace di far tornare la vita e cancellare la monotonia del grigio onnipresente.
Martedì 10 ottobre, ore 21.30
ingresso 3 euro