La signora della porta accanto
«Nec sine te nec tecum…», né con te posso vivere ne senza di te, già cantava il poeta latino per dire la massima infelicità. Ce lo ripete Truffaut con un film d’intelligenza calda e partecipe, studiato con grazia nel solco di quella passione francese per il mal d’amore che il cinema di Truffaut condivide da anni. Tutto chiuso nel grembo dei sentimenti più semplici e misteriosi, da cui si genera, a conti fatti, la sofferenza di vivere dominati dalla più irragionevole fatalità.
Bernard e Mathilde, sette anni fa, si sono amati furiosamente, e con rabbia si sono lasciati. Oggi, sposati ambedue, e Bernard padre di un bambino, casualmente si ritrovano, vicini di casa nei sobborghi di Grenoble, lui ingegnere lei disegnatrice di libri per ragazzi. Sulle prime, superato l’imbarazzo, sembra che basti continuare a salutarsi; ben presto, invece, sepolta sotto la cenere, la fiamma rinasce, e nei modi di allora: in un’altalena di vampe e ritrosie, per cui alle ore del desiderio si alternano quelle del rifiuto, con in più, questa volta, la vergogna di mentire ai coniugi rispettivi che sono all’oscuro dell’antico rapporto fra i due. Gli amanti riprendono a incontrarsi di nascosto, ma sono nel contempo impauriti ed attratti l’uno dall’altro: Mathilde soprattutto, che a suo, tempo aborti e dopo la separazione tentò il suicidio, non può accettare il compromesso. All’indomani d’una scenata di Bernard, che ha reso pubblica la loro relazione, cade in un esaurimento nervoso dal quale si riprende a stento perché suo marito, geloso ma comprensivo, ha chiesto a Bernard di starle vicino. Quando pare che la bufera sia passata, perché l’uomo ha deciso di non rivederla mai più e la donna trasloca, la fiamma ha un ultimo, tragico guizzo: di notte, nella casa ormai vuota, ai gemiti d’amore fanno seguito due colpi di pistola…
Raccontata da un’amica di casa che da giovane soffri come Mathilde e si gettò nel vuoto, ma baciata dalla fortuna scelse di sopravvivere e ora non vuole rimpiangere niente, la storia (scritta da Truffaut con Suzanne Schiffman e Jean Aurel) può essere scambiata per un fotoromanzo o la traduzione visiva d’una canzone di Edith Piaf, con una di quelle soste nel melò vietate dal cinema intellettuale. In realtà abbiamo a che fare con un film d’avventura interiore, dove gli stati d’animo e le situazioni sono orchestrate morbidamente sullo sfondo simbolico d’un campo da tennis.
Il modo in cui Bernard e Mathilde si rimbalzano la passione cercando di spiazzarsi a vicenda, e tuttavia non possono essere l’uno senza l’altra, la banale cornice borghese in cui la tragedia si compie, quel groviglio di sentimenti che rende incapace la coppia di possedere una realtà mistificata, sono descritti da Truffaut con una incisività di grande efficacia emotiva.
Li osserva, li pedina, scandisce musicalmente il racconto in modo che le scene d’ambiente si alternino a rapidi scatti sui gesti e le frasi, dà all’insieme una fluidità che assorbe tanti piccoli dettagli, e ci trasmette il peso e il colore d’un universo.
martedì 10 maggio, ore 21.30
ingresso 3,00 euro